Pubblicato su politicadomani Num 91 - Maggio 2009

Dove stiamo andando
Federalismo all'italiana:
un dibattito da approfondire


Superata la rozzezza e il folklore leghista, il tema dell'ordinamento dello stato in senso più o meno federale andrebbe affrontato seriamente informando i cittadini della posta in gioco

di Umberto Rollino

Guardare alla politica significa fondamentalmente porsi il problema di chi decide e su che cosa decide. Dare a questo problema una soluzione convincente significa proporre un modello istituzionale tramite cui realizzare un'idea di società condivisa dai suoi membri.
Il dibattito sul federalismo e più in generale sul futuro assetto politico del nostro paese verte essenzialmente su tale argomento.
Il federalismo, alla luce della recente attività politica, appare sempre più come la probabile risposta alla necessità di ridefinire il rapporto tra il potere politico ed il cittadino, creando le condizioni affinché la decisione sia sempre più vincolata alle esigenze e alla peculiarità del territorio interessato. Ma al di là del generico orientamento, la riflessione politica deve ricadere necessariamente sul modello di federalismo da proporre agli italiani, visto che alcuni studiosi americani hanno classificato in diverse decine le varie forme di federalismo esistenti al mondo. Inoltre bisogna comprendere in che modo l'evoluzione federalista delle nostre istituzioni possa garantire sia il rafforzamento delle posizioni economiche e sociali delle regioni più ricche, sia l'avvio di una fase di ammodernamento e sviluppo delle regioni più arretrate. Con particolare riguardo a quelle meridionali, che ancora oggi scontano ritardi nel sistema delle infrastrutture e nel controllo del territorio, così come ha messo in evidenza lo scandalo rifiuti in Campania.
In realtà di federalismo, la cui parola deriva dal latino foedus, alleanza, in Italia si parla da prima dell'Unità. Buona parte del movimento risorgimentale sosteneva infatti la necessità di realizzare uno stato federale che sapesse rendere giustizia delle peculiarità delle singole culture ed economie d'Italia, avendo però, al tempo stesso, la capacità di definire un forte potere centrale che fosse rappresentativo dell'unità nazionale. Va ricordato che ogni stato federale, da quello americano a quello canadese, prevede la edificazione di un forte sistema costituzionale che altro non è che la traduzione giuridica della volontà di popoli che, pur riconoscendosi nelle differenze, affermano la loro volontà di unità nazionale.
In Italia si torna a parlare di federalismo nel 1941, quando un gruppo di intellettuali antifascisti esiliati sull'isola di Ventotene elabora un Manifesto in cui si pensa allo stato federale come unica alternativa ai sistemi politici proposti dallo sfrenato liberismo delle potenze capitaliste e dalla ideologia socialista. Ciò che affascinava Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi era la possibilità di creare uno stato in cui a governare fosse la legge e non l'apparato governativo, che vedeva ridotto di molto il suo potere in favore degli enti locali. Lo spirito del Manifesto di Ventotene può essere rintracciato nella Costituzione del 1948 là dove essa prevede l'istituzione di soggetti politici, le Regioni, caratterizzate da una forte autonomia rispetto al potere centrale.
In realtà, dal punto di vista della dottrina, parlare di federalismo in Italia può apparire una forzatura se partiamo dall'assunto storico che uno stato federale nasce dalla volontà di unirsi che manifestano soggetti liberi ed autonomi i quali scelgono di cedere parte della propria autonomia ad un'autorità centrale. Le Regioni italiane non possono infatti paragonarsi a Stati autonomi. Non lo sono in alcun modo.
In Italia si parla di federalismo perché qui da noi si avverte l'esigenza di riconoscere maggiore autonomia decisionale al territorio, nella convinzione che ciò possa garantire il riavvicinamento del cittadino alla politica, che ci sia una maggiore funzionalità degli apparati burocratici che essendo locali sono necessariamente più snelli e che sia favorito lo sviluppo di forze capaci di sfruttare al meglio le potenzialità del territorio. Motivi, questi, che tendono a superare le ragioni della Lega che, puntando su un estremismo rozzo ma efficace dal punto di vista elettorale, ha trasformato l'idea di federalismo da strumento di coesione a condizione di separazione,
Gli strumenti scelti per realizzare il federalismo all'italiana sono il federalismo fiscale e la devolution .
Il cosiddetto fisco federale, previsto dall'articolo 119 della Costituzione, stabilisce una proporzionalità diretta tra la riscossione delle imposte in una determinata area e la relativa ridistribuzione sull'area stessa. La devolution altro non è che la riduzione delle competenze dello Stato centrale e la loro attribuzione alle Regioni o ad altri enti locali.
Questo modello, per poter funzionare, deve però garantire la comunione d'intenti politici che caratterizza ogni forma di federalismo. Ciò può essere ottenuto solo definendo come elemento centrale del federalismo la sussidiarietà ovvero il riconoscimento di valori condivisi dalla comunità - e che rappresentano la base etica del paese - e il sostegno senza ingerenza, da parte dello Stato, dei vari attori sociali che hanno la capacità di tradurre tali valori in azioni concrete. Sono valori in cui è necessario potersi sempre riconoscersi e che tutelano il bene comune. Sono strategie che creano un circolo virtuoso, per cui lo sviluppo delle regioni più povere passa per l'intervento di quelle più ricche, che in tal modo prevedono il progresso anche del loro sistema.
Ma non è proprio la sussidiarietà il concetto su cui l'Europa dei venticinque s'è arenata nel dibattito sulla definizione della Costituzione europea?

 

Homepage

 

   
Num 91 Maggio 2009 | politicadomani.it